Il 7 febbraio 2020 come Associazione Rete Civica della collina torinese abbiamo organizzato una serata di riflessione sul tema della sanità pubblica dal titolo “E’ tutta salute”, con la partecipazione di Nerina Dirindin, già Direttrice generale del Ministero della Salute, e Mauro Trioni, Direttore del Distretto Chivasso San Mauro dell’ASL TO4, con l’intento di evidenziare quanto il bistrattato Sistema Sanitario Nazionale fosse a ben vedere l’unico in grado di garantire a tutta la popolazione cure appropriate e con costi inferiori per il singolo e la collettività rispetto a sistemi in cui ci si affida ai privati e alle assicurazioni, in cui ognuno provvede al pagamento delle cure di cui necessita. Nonostante i malfunzionamenti, le liste di attesa, la corruzione e la malasanità.
Era il 7 febbraio.
Poi è esplosa l’emergenza CoVid 19. E il vantaggio dell’avere un sistema pubblico di cura, universale e che non chiede la carta di credito quando si varcano le porte degli ospedali, si è palesato chiaramente a tutti noi. Sono emerse anche le disfunzioni e le lacune legate non alla mancanza di professionalità (ringraziamo il personale sanitario per il grande sacrificio che sta facendo), ma ai tagli indiscriminati di questi anni alla spesa sanitaria, alla trasformazione delle ASL in aziende, attente solo a far quadrare i bilanci, alla scelta di non sviluppare la sanità di territorio, riversando così tutta l’emergenza sugli ospedali, che hanno rischiato il collasso.
Parallelamente è emersa l’inadeguatezza e l’insostenibilità del sistema di assistenza degli anziani, parcheggiati nelle RSA/RSSA (Residenze Sanitarie/Sociosanitarie Assistenziali) e Case di Riposo. Un virus particolarmente virulento con anziani e pluripatologici sta mietendo un gran numero di vittime. Ma non è colpa solo del virus. Si sconta l’assenza da decenni di un pensiero chiaro e strutturato su come garantire una vita dignitosa alle persone anziane, di un sistema in grado di integrarle nella vita sociale anziché parcheggiarle in luoghi di non-vita, nonostante il fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione sia evidente da anni. Qui le criticità sono maggiori: nella stragrande maggioranza dei casi abbiamo personale sottopagato, precario, poco istruito a proteggersi e a proteggere, scarsità di investimenti, pochi controlli, mancanza di protocolli e linee guida. Alcuni casi di veri e propri lager, con anziani abbandonati e vittime di violenze, ma in generale un sistema che ha dimostrato di essere l’anello debole del welfare italiano. E poi le decisioni sbagliate prese al manifestarsi dell’emergenza, su cui oggi la magistratura indaga, come il trasferire pazienti infetti nelle RSA, moltiplicando i contagi.
Questi giorni in cui si inizia a parlare della “fase 2”, della fine della quarantena, sono giorni preziosi, in cui interrogarsi su come sarà il dopo. O meglio, su come vorremmo che fosse. Individuando gli strumenti e le azioni perché ognuno di noi possa far sentire la propria voce, non demandando solo a politici e tecnici la strutturazione del futuro. Volenti o nolenti, il virus ha prodotto in pochissimo tempo delle modificazioni sostanziali nella vita di ognuno e nella società intera. Siamo di fronte a una cesura della storia, quei momenti dove si gira pagina e si legge di un nuovo scenario, un nuovo equilibrio, un nuovo mondo.
Noi ci siamo in mezzo ed è difficile vedere cosa ci sarà al di là, ma niente può esimerci dall’assumerci il nostro compito.
Pretendere il rafforzamento del Sistema Sanitario Nazionale, in primis, eliminando i malfunzionamenti e i disservizi, abbandonando il percorso intrapreso soprattutto dalla Regione Lombardia, ma cui il Piemonte da anni si ispira, di una maggiore presenza di strutture e prestazioni gestite da privati, deve essere la strada maestra; il vero ringraziamento al personale sanitario, ai volontari, a chi in questi giorni si è sacrificato e continua a farlo per permettere a tutti noi di uscire dall’emergenza e tornare a vivere.
Al contempo occorre ripensare l’assistenza agli anziani: prima del CoVid 19 si ragionava su sperimentazioni di cohousing e residenze con portierato sociale, su appartamenti singoli dotati di servizi comunitari (cucina, assistenza infermieristica, piccole manutenzioni, ecc) recuperando stabili e immobili dei centri storici. Idee che faticavano a decollare perché troppo avveniristiche, costose, frenate dalle pastoie burocratiche, o semplicemente perché era più comodo ricorrere alle case di riposo.
Il virus , in neanche due mesi, ci ha obbligato a trasformazioni che avrebbero richiesto anni in tempi normali. Cerchiamo di non tornare indietro. Relegare una grossa fetta di popolazione in luoghi chiusi, in attesa di morire, non deve più essere. In questo modo i tanti che ci hanno lasciato in silenzio, soli, che non abbiamo potuto salutare, non saranno morti invano.
E quindi troviamo i modi per riappropriarci della funzione di cittadini, che hanno a cuore il bene pubblico, perché, come ci dice anche il Papa ,“siamo tutti sulla stessa barca e o ci si salva insieme o non si salva nessuno”
Sollecitiamo i Sindaci, in qualità di autorità sanitarie locali, e gli amministratori, a riacquisire il loro ruolo di indirizzo delle politiche sulla sanità e l’assistenza, perché si avvii un sistema di sanità di territorio, che dia risposte alle mutate esigenze della popolazione, un sistema capillare di ambulatori, assistenza domiciliare, cura delle cronicità, che eviti il congestionamento degli ospedali, ma anche limiti gli spostamenti, offra servizi a domicilio (spesa, cura della persona, ecc), permetta alle persone di rimanere il più a lungo possibile nelle proprie case, vicino agli affetti . Per migliorare la vita, di tutti. In questi giorni di forzata reclusione, in piena emergenza e senza preparazione, è stato fatto. Vuol dire che si può fare.