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RISCHIO IDROGEOLOGICO A VENARIA

Diadmin

Gen 17, 2021

Sono passati quasi 20 anni dal novembre 1994, dalla grave alluvione del Ceronda che sconvolse buona parte della nostra città. Da allora ogni evento di piena, a seguito di piogge un po’ più intense e prolungate del solito, viene osservato con preoccupazione. In effetti una porzione significativa del
territorio di Venaria è classificata come area ad elevato rischio idrogeologico.
Tale classificazione è la logica conseguenza della semplice osservazione del Foglio “Torino Nord/Ovest” della Carta Geologica d’Italia, redatta in scala 1:100.000 e disponibile, in prima redazione, già fin dagli anni precedenti il secondo conflitto mondiale.

In quella Carta sono chiaramente evidenziate, con varie sfumature di azzurro, le aree, lungo i corsi dello Stura di Lanzo e del Ceronda, idrogeologicamente appartenenti alle regioni fluviali, cioè quelle che, con frequenza assai variabile, possono essere allagate. Per usare un espressione più “moderna”, si tratta delle cosiddette “fasce di pertinenza fluviale”, quelle soggette a più elevato rischio di esondazione. Nell’immagine sopra proposta sono delimitate, con linee rosse, le aree alluvionate in
occasione dell’evento del novembre 1994, grosso modo coincidenti con la tipologia “alluvioni recenti” (in azzurro) della carta geologica succitata.
Ma i geologi che hanno redatto quella Carta non hanno scoperto la pericolosità delle fasce fluviali del Ceronda e dello Stura soltanto negli anni ’40 del secolo scorso. In quel periodo si resero disponibili le risorse per la pubblicazione del Foglio “Torino Nord/Ovest” (e delle relative “Note”), ma i rilevamenti geologici furono effettuati molti anni prima e soprattutto i tecnici dell’Università di Torino, incaricati delle indagini, fecero ampio riferimento ai documenti storici sugli eventi naturali che caratterizzarono
il territorio nei decenni precedenti. In altri termini: il rischio idrogeologico di ampie aree intorno ai fiumi Ceronda e Stura è conosciuto da tempi storici e con buona precisione da almeno due secoli.

Le scelte del passato
Ma se la pericolosità delle fasce fluviali era nota già in passato, come è possibile che l’Uomo sia stato tanto stupido da costruire strutture importanti in tali aree. L’Uomo non è mai stato particolarmente
“stupido” o “intelligente”, soprattutto in passato, quando non poteva permettersi il lusso di effettuare scelte “stupide” o “intelligenti”. Già Leonardo Da Vinci, nel suo Codice Hammer, citava il rapporto di
amore e odio dei popoli nei confronti dell’acqua; da essa dipendeva la vita, ma da essa bisognava proteggersi; l’uomo era costretto a vivere pericolosamente vicino all’acqua ed è per tale ragione che, fin dall’antichità, ha sviluppato tecniche di interventi lungo le fasce fluviali allo scopo di contenerne la forza distruttrice. L’ingegneria idraulica è una delle discipline più antiche. Molti citano la saggezza degli antichi (o dei vecchi); in realtà non erano più “saggi”, così come non erano più “stupidi” o più “intelligenti”; semplicemente costruirono città, ponti, strade,… dove hanno potuto ed in molti casi proprio in riva ai fiumi: per approfittare di più facili approvvigionamenti idrici, per utilizzare più comodamente le vie d’acqua, per smaltire i rifiuti, per fini militari,… Lungo i fiumi ed in particolare lungo i canali da essi alimentati, sorgevano i mulini; nei primi decenni della
rivoluzione industriale la forza motrice dell’acqua è stata condizione fondamentale per lo sviluppo.
Il Canale alimentato dalla Traversa di derivazione idrica sul Ceronda, immediatamente a valle del Ponte Cavallo, è stato costruito con un finanziamento approvato dallo Stato Italiano in risposta ai moti
di protesta dei torinesi per lo spostamento della Capitale a Firenze; quel canale contribuì, in modo importante, a fornire la forza motrice necessaria a lanciare la nascente attività industriale torinese.
L’uomo, in passato, non ha effettuato scelte “stupide” o “intelligenti”, ma semplicemente quelle “possibili”, senza alternative, le uniche a permettere lo sfruttamento delle risorse naturali senza poter contare su efficaci sistemi di trasporto.

Gli eventi che hanno consentito un improvviso cambiamento della situazione, una vera e propria rivoluzione tecnologica, sono stati l’invenzione del motore a scoppio e lo sfruttamento dell’energia
elettrica. Tali eventi hanno dimostrato che era possibile stravolgere le modalità di trasporto delle materie. Soprattutto hanno dimostrato che era possibile il trasporto, molto più facile, dell’energia: attraverso cavi conduttori era possibile trasportare molta più energia ed in modo molto più semplice e più facilmente utilizzabile rispetto ai fiumi ed ai canali d’acqua.
Tale rivoluzione tecnologica, nel periodo compreso tra le due Guerre Mondiali, ha conferito all’uomo una libertà “potenziale” straordinaria: la possibilità di costruire lontano dai fiumi, di vivere con sicurezza lontano dall’acqua, pur sfruttandola come risorsa in modo più efficace rispetto al passato.

La libertà “potenziale” dell’uomo “intelligente”
La libertà, garantita dalla tecnologia, di sfruttare le risorse idriche, senza essere costretti a viverci pericolosamente vicino, è stata sopra definita “potenziale”. Abbiamo prima accennato che, in passato, l’uomo non poteva effettuare scelte “stupide” o “intelligenti”, ma solo quelle “possibili”. Con i
progressi tecnologici, grosso modo collocabili nel decennio 1925 ÷ 1935, l’uomo ha avuto la possibilità di scegliere veramente, ma con esiti purtroppo infelici. Evidentemente hanno prevalso le abitudini acquisite nei secoli precedenti e le rive dei fiumi sono state ulteriormente occupate da
fabbriche, case, impianti sportivi, campeggi, strade,… ragionando come in passato e quindi sbagliando gravemente e senza giustificazioni.
Questa storia vale anche e soprattutto per Venaria. Le possibilità “potenziali” dovute alla libertà di effettuare le scelte più corrette per il territorio e più funzionali per un ordinato sviluppo socioeconomico sono state in gran parte ignorate. Vi è chi sostiene che 50 anni fa non vi era ancora sufficiente consapevolezza intorno a questi problemi (come se oggi ce ne fosse); ma si tratta di una affermazione profondamente sbagliata e utile solo per coprire l’ignoranza e la stupidità di coloro che, a partire dagli anni ‘50 e ‘60 hanno rinunciato ad utilizzare, da persone “intelligenti”, le possibilità di scelte connesse alla libertà “potenziale” offerta dalla tecnologia. In quegli anni il compianto Bruno PEYRONEL (docente di Botanica all’Università di Torino e fondatore del movimento ambientalista piemontese) descriveva, inascoltato, sulla “Stampa” di Torino, i rischi
connessi all’incremento edificatorio folle lungo le rive dei fiumi, preannunciando gli eventi che effettivamente si manifestarono alcuni decenni dopo. Dunque già 50 anni fa vi erano le condizioni giuste per l’agire “intelligente”. Tuttavia si sono effettuate scelte di segno totalmente opposto. A Venaria si è costruito ovunque, anche lungo i fiumi. Accanto al Centro Storico, edificato pericolosamente sulla riva destra del Ceronda, ma in un periodo che non consentiva alternative, negli ultimi decenni sono state occupate le aree oggi definite ad alto rischio idrogeologico, ma già ben note da oltre un secolo come pericolosamente esondabili. Esempio eclatante è rappresentato dall’area del “Parco Basso” (lungo il viale Carlo Emanuele II) ove sono sorti un complesso industriale (ex Cromo-Dora), campi sportivi, parcheggi e addirittura dei palazzi. L’evento più eclatante è stato il crollo, nel novembre 1994, di una parte del Palazzo in P.za Vittorio Veneto, costruito sulla riva destra del Ceronda immediatamente a valle del Ponte Cavallo. Oggi i tempi sono cambiati? L’uomo ha finalmente deciso di utilizzare “intelligentemente” la libertà “potenziale” offerta dalla tecnologia? Quali sono le attuali scelte sul territorio di Venaria?

La situazione attuale
La scelta più sbagliata è la fiducia acritica nei confronti della scienza e della tecnologia, o meglio il loro uso scorretto per giustificare scelte sbagliate sul territorio. La consapevolezza della pericolosità delle aree a forte rischio idrogeologico, invece che comportare una saggia rinuncia a nuove
edificazioni, induce a effettuare comunque nuovi interventi, salvo delegare ai tecnici (ingegneri idraulici e/o geologi poco competenti) il compito di trovare soluzioni per limitare o addirittura annullare il rischio idrogeologico. Non è solo una scelta sbagliata, ma anche pericolosa ed inutilmente dispendiosa. Gli interventi di sistemazione idraulica (rettificazioni, disalvei, realizzazione di briglie, difese spondali, arginature,…) infatti sono:
! molto costosi (comportano la sottrazione di risorse economiche da altri capitoli di spesa pubblica ben più utili ed importanti);
! poco sicuri (con essi non si elimina il rischio idrogeologico, ma si “prova” a ridurlo; pertanto, a fronte di impegni economici esorbitanti, non si acquisisce sicurezza vera);
! pericolosi (la trasformazione dei letti fluviali in una sorta di canali dove l’acqua può teoricamente scorrere in modo migliore, per semplici leggi della fisica, determina un pericoloso incremento di energia delle acque verso valle, in quanto gli interventi di sistemazione idraulica comportano la
riduzione dei fattori di dissipazione che normalmente caratterizzano gli alvei naturali; soprattutto occorre ben riflettere su un fatto importante; se davvero fosse possibile contenere tutta l’acqua di piena entro l’alveo normale del Ceronda, ciò significherebbe che tutta la portata di massima piena, non potendo espandersi allagando la fascia sinistra, eserciterebbe un’azione erosiva devastante nei confronti della sponda destra, dove sorge il centro storico di Venaria);
! dannosi per l’ambiente naturale (essi comportano la banalizzazione degli ecosistemi fluviali, con gravi ripercussioni per le cenosi acquatiche).
Purtroppo la maggior parte dei tecnici (soprattutto gli ingegneri geofurbi) negano i punti succitati e propongono interventi di sistemazione idraulica ovunque (e quasi sempre con le tecniche più tradizionali, più costose e più devastanti). D’altra parte non potrebbero fare diversamente; se la
raccontassero in modo giusto, molti di loro non lavorerebbero più e soprattutto verrebbero a mancare le commesse per numerose ditte del cemento. Gli interventi di sistemazione idraulica andrebbero effettuati esclusivamente nel “tentativo” di difendere i sistemi che non possono essere ricollocati; essi sono essenzialmente i ponti (indispensabili
per garantire una efficace rete di trasporti in un territorio caratterizzato da un fitto reticolo idrografico), i centri abitati (non è possibile ricollocare interi paesi) e, in qualche caso, quegli impianti
industriali il cui trasferimento potrebbe comportare gravi rischi per il mantenimento delle produzioni. In tutte le altre situazioni è molto meglio lasciare fare ai fiumi il loro mestiere di trasportatori naturali dell’acqua, senza interferenze, nella maggior parte dei casi inutili, costose e pericolose e soprattutto evitando di costruire ancora lungo i fiumi. Questo sarebbe il modo “intelligente” di operare cogliendo in pieno le possibilità offerte dalla libertà “potenziale” offerta dalla tecnologia. Ma cosa succede a Venaria? Evitiamo i commenti e proponiamo un breve elenco:
! con il progetto “La Venaria Reale” sono stati realizzati estesi parcheggi, quasi tutti in aree a forte rischio di esondazione (evidentemente è stato deciso che la maggior parte dei numerosi visitatori dovrà “sbarcare” in Venaria con mezzi privati);
! la circonvallazione di Venaria ha coinvolto ampie aree che appartengono alla regione fluviale dello Stura, oltre ad un nuovo ponte;
! il recupero della zona industriale della Martinì, anche con la realizzazione di una nuova strada, coinvolge un “rudere” di complesso industriale realizzato in un’area sbagliata, con una estremità del muro perimetrale a pochi metri di distanza dalla sponda destra dello Stura, quindi a forte rischio idrogeologico; il mantenere a tutti costi tale struttura (tra l’altro con garanzie assai remote circa le possibilità di rilancio economico e produttivo) significa spendere notevoli risorse della collettività per la messa in sicurezza idraulica e con ulteriori rischi a valle (discorso analogo potrebbe valere per l’area dell’ex SNIA);
! è previsto un nuovo ponte sul Ceronda a monte del ponte Castellamonte (che sarà probabilmente demolito) anche per garantire i trasporti verso la zona industriale ancora presente nel Parco Basso (allora non verrà mai ricollocata?) e per migliorare la viabilità verso l’unicum Reggia-Mandria in
prevedibile incremento (che cosa è il turismo sostenibile?);
! buona parte del Parco Basso è già stato coinvolto per costosi interventi di realizzazione dei giardini connessi alla Reggia (soprattutto la Grande Peschiera e gli impianti tecnologici), cioè nell’area che è stata maggiormente esposta nell’alluvione del 1994.
Forse il prossimo autunno, forse tra 5 anni, forse tra 50 o 100, forse con un rischio maggiore in virtù dei cambiamenti climatici o forse (speriamo) mai, potrebbe verificarsi un alluvione come nel novembre 1994. La distruzione risulterebbe decisamente maggiore. Molti allora sosterranno che il
clima è impazzito, che gli interventi di sistemazione idraulica non sono stati sufficienti, che non è stata compiuta alcuna “pulizia” del fiume e tante altre stupidaggini. La realtà sarà un’altra: le acque di piena incontreranno più strutture da distruggere, tutte quelle edificate dopo l’alluvione del novembre 1994. Forse domani, forse (speriamo) mai!


Sinistra Civica propone la riapertura del dibattito intorno agli interventi realmente possibili in funzione dei seguenti criteri:
• rinunciare al mito della sicurezza totale (è un obiettivo illusorio; la realtà è scomoda da accettare, ma va comunque spiegata ai cittadini, rinunciando definitivamente alla demagogia);
• economicità degli interventi (occorre avere il coraggio e l’onestà intelletuale e politica di ammettere e spiegare ai cittadini che è inutile illudersi, le risorse economiche disponibili saranno molto contenute e d’altra parte sarebbe inutile spendere tanti soldi per non risolvere il problema e per aumentare il rischio);
• rispettare la libertà di divagazione del fiume (naturalmente ovunque ciò sia possibile, secondo le concezioni più moderne ed avanzate della gestione idraulica dei corsi dacqua ed in coerenza con le necessità di tutela ambientale; questa è la condizione indispensabile per sperare di ottenere qualche risultato concreto);

• intervenire su scala di bacino (che non significa prevedere interventi di sistemazione idraulica tradizionali, inutili, dispendiosi e pericolosi ma, per esempio, prevedere casse di laminazione lungo tutto il corso del Ceronda a monte di Venaria; ma non illudiamoci: il risultato finale sarà una lieve
riduzione dei picchi di piena e l’aumento dei tempi di corrivazione, ma la somma di tanti piccoli
vantaggi può portare ad un risultato finale significativo);
• piccoli interventi (è possibile prevedere piccoli interventi, per esempio sulle soglie trasversali presenti anche nel tratto fluviale cittadino ed altri ancora, sempre riconoscendo che ciascuno non potrà essere determinante, ma utile, insieme agli altri, per la riduzione del rischio).

Venaria Reale, dicembre 2020

Gian Carlo PEROSINO

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