A partire dagli anni 80, con l’ondata neo-liberista che è andata affermandosi in ambito internazionale, sono le grandi potenze economiche a stabilire le regole per la produzione e per la distribuzione della ricchezza.
I governi nazionali hanno accolto l’invito a fare un passo indietro, limitando i loro interventi ad ambiti più circoscritti. Del resto, la politica nazionale non è preparata né attrezzata ad affrontare le crisi che hanno colpito l’economia mondiale: le catastrofi causate dai cambiamenti climatici, la crisi sanitaria e lo stesso Covid 19 necessitano di risposte tanto
immediate quanto complesse.
In questo contesto le istituzioni pubbliche che forniscono beni e servizi, già ridimensionate dai tagli operati a partire dal 2008, si sono progressivamente indebolite, risultando totalmente inadeguate a svolgere il loro compito.
Questo stato di cose ha favorito un progressivo quanto massiccio ingresso del “privato”, incrementando una serie di partnerariati tra pubblico e privato, i quali, più di ampliare i servizi, hanno lo scopo di incrementare il business, a tutto vantaggio dell’impresa privata.
È stato documentato che la collaborazione pubblico/privato nel settore della ricerca tende a favorire, ad esempio, i cosiddetti farmaci “ blockbuster” (medicine mirate e molto costose) a scapito di altri, meno appetibili dal punto di vista commerciale, ma estremamente importanti
per la salute pubblica, quali antibiotici e vaccini per malattie con potenziale epidemico.
Occorre ripensare il ruolo dello Stato: non solo limitarsi a correggere e sanare i costosi fallimenti del mercato, quando questi si verificano, ma assumendo un ruolo propositivo, ed
indirizzando il mercato stesso ad offrire una crescita “sostenibile ed inclusiva.
Novembre 2020
Piero BOGLIANO